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Ora la liquidità si parcheggia a pagamento

«Oggi la liquidità si può parcheggiare soltanto sulle strisce blu: occorre pagare per farlo, e i risparmiatori faranno bene a mettersi in questo ordine di idee perché con altre mosse espansive in arrivo da parte della Bce la situazione anomala è destinata a durare a lungo». Guido Casella, gestore obbligazionario di Azimut, ricorre a una curiosa metafora per fotografare il paradosso che si è venuta a creare negli ultimi mesi e che influenza le scelte del piccolo investitore.

Con tutta probabilità sono rari i privati che hanno acquistato ieri il BoT a sei mesi «sotto zero», possibile che qualcuno abbia in tasca il CTz assegnato due giorni fa (pure questo a un rendimento negativo) anche se si tratterà di una minoranza esigua. Il problema dei mini-tassi è però realtà, anche e soprattutto per quei BTp che andranno in asta oggi e che sono di sicuro presenti (questi sì) nei portafogli del popolo retail. Logico quindi domandarsi cosa fare in una situazione del genere, insolita quanto si vuole, ma che non ci abbandonerà poi così presto.

La premessa doverosa da fare è che tutto è relativo: l’altra faccia dei rendimenti zero (o negativi) per il parcheggio della liquidità è un’inflazione zero (o negativa, anche questa). In altre parole, a lasciare il denaro in giacenza teoricamente non si perde né si guadagna potere di acquisto, cosa che di questi tempi è già un risultato. C’è poi ancora la soluzione dei conti deposito, con o senza vincolo: i rendimenti non sono più quelli di un paio di anni fa, ma possono ancora sfiorare il 2% lordo (sui sei mesi), anche se quasi sempre si tratta di offerte riservate al conferimento di nuova liquidità e a durata limitata.

Detto questo, il dilemma su BoT, CTz e BTp resta più che mai attuale. L’arma immediata, quella di allungare le scadenze, ha le polveri bagnate: «Con la Bce in acquisto – spiega Casella – c’è almeno qualche mese di spazio per acquistare titoli con scadenze fino a 6/7 anni portandosi a casa un fino all’1% lordo annuo che in questa situazione non è da disprezzare. Oltre invece non andrei, a meno di essere particolarmente esperti, perché il rischio di rimanere scottati è particolarmente elevato come purtroppo sa chi ha acquistato titoli a 15 o a 30 anni lo scorso marzo e che ancora conta i danni».

Lontano dai titoli di Stato (e quindi dal raggio d’azione Bce) le possibilità sono migliori, ma fino a un certo punto: gli spread dei corporate bond che si erano allargati in misura significativa, prima la scorsa estate e poi dopo lo scandalo Volkswagen, sono in parte rientrati nelle ultime settimane. «Le opportunità esistono ancora – sottolinea Valentina Vicinanza, responsabile delle gestioni patrimoniali istituzionali di Banca Akros – ma occorre fare anche molta attenzione: cercare mezzo punto in più di rendimento significa prendere rischi non sempre commisurati al ritorno che si può ottenere e le sorprese sono sempre dietro la porta, come ci ricordano Volkswagen, ma anche i casi Glencore o Valeant». Anche in questo caso la parola d’ordine è «accontentarsi», a maggior ragione in assenza di inflazione: «Meglio puntare all’1% e mantenersi su scadenze non oltre i due o tre anni, dove si soffre meno», aggiunge Vicinanza.

È poi sempre possibile cercare rendimenti spostando parte del denaro in Borsa. Finora non lo hanno fatto in tanti: solo il 6% degli italiani, secondo l’indagine Acri-Ipsos presentata proprio ieri alla Giornata del risparmio, ha in portafoglio azioni, mentre il 7% ha titoli del Tesoro, il 9% Buoni postali e il 13% fondi comuni di investimento. In questo caso l’oggetto più simile a un’obbligazione sono quei titoli di società che offrono dividendi elevati, che secondo gli analisti di Hsbc sono anche «i maggiori a beneficiare di uno scenario in cui il rendimento del Bund decennale potrebbe di nuovo avvicinarsi a zero come si aspettano i nostri economisti per il 2016».

Ma un’azione, vale la pena di ricordarlo ancora una volta, non è certo un bond e un ribasso dei suoi prezzi può rapidamente vanificare quanto incassato con la cedola. Per utilizzare ancora la metafora iniziale di Casella, «ogni volta che esci dal parcheggio consumi benzina, e rischi: può andare bene o no». Passare all’investimento in Borsa è una scelta di campo che comporta anche un cambiamento di mentalità da tenere ben presente, come forse inizia adesso a comprendere anche chi ha sottoscritto l’Ipo di Poste Italiane.